venerdì 30 marzo 2012

Un'inchiesta sul Sì

L'altro giorno a Milano era bello. Ascoltare a Palazzo Marino un uomo coraggioso, il giudice Caselli, e sentire il calore del sostegno che gli riserva chi vuole vicinanza fra legalità ed etica. Anche vedere - sul monitor, registrata tre ore prima - un'azione di disobbedienza civile No-Tav svolgersi civilmente ed essere altrettanto civilmente contenuta dalla polizia. Il procuratore è nel giusto quando non si lascia condizionare, il movimento No-Tav ha ragione quando non è violento.

Ho provato affetto in entrambe gli eventi e ne ho gioito. E alla fine deduco che il Sì-Tav deve essere indagato.

Non è un suggerimento alla Procura, bensì una proposta editoriale e creativa. Altro che my garden, la Valsusa è un bene planetario. La sua roccia lo è, la sua acqua. Chi la vìola commette qualcosa di molto brutto per il secolo 21 e successivi.

E' violenza, lo scavo di oltre cinquanta chilometri di tunnel, nelle falde del più imponente "ostacolo" naturale fra l'Atlantico e il Mare del Giappone.

Mentre la comunicazione si riempie di segni catastrofisti, la politica pianifica le catastrofi. Perché? per chi? per la ricchezza e la povertà di chi?

Avere paura non ha senso: per combattere la paura occorre l'impegno civile. Ma affinché questo impegno non diventi vuota ritualità e si consegni eventualmente allo shock, indaghi.

I nuovi strumenti dei media sociali, della produzione partecipata, dello user generated content, del montaggio interattivo offrono al documentario civile e all'inchiesta giornalistica impensabili possibilità pratiche.

Meglio non lasciare questi strumenti alla disinformazione. Un webdocumentario è uno dei due principali documenti con cui si è conclusa la commissione d'inchiesta sull'inquinamento BP nel Golfo. Un webdocumentario può essere la spina dorsale di un'inchiesta sulla lobby del Sì.

Contrapponiamo l'informazione e la consapevolezza alla violenza dei sicari dell'economia. Per monsignor Tonini un film che parla di Dio non fa mai fallimento. Testimone digitale è anche un documentario che contrasta il malaffare.

martedì 6 marzo 2012

dopo un anno di silenzio, il tav: una questione di principio e di rilevanza globale


dedico questo post a mia madre che ho perso un anno fa, Ada, e alla madre che l'umanità rischia di perdere, la Terra


Se c'è un momento per porre una questione di principio, è proprio l'attuale. In economia, quel progetto è imprevidente e intempestivo. Per il diritto europeo, a dispetto di quel che ne dicono i politici, è ancora informale. Per il buon senso, è inattendibile in quanto varato, poi cambiato e cambiato, e immancabilmente ad ogni passo proclamato assoluto.
Insomma, è arrogante, umana ùbris dalla quale il buon governo dovrebbe tenersi alla larga perché l'arroganza genera astio. Questo nel mondo civile, perché poi verso la Terra quel progetto è degenere: scavare per traverso il più maestoso "ostacolo" naturale posto fra l'Atlantico e il Mar del Giappone! Ferirla nel profondo dell'Acqua, ferire le Alpi! 
Colpo di coda del Novecento stragista e scioccante. La scuola di Chicago, fallita con il Cile, l'Argentina, le case confiscate negli Usa, i crediti al consumo in Grecia, in Italia ora vuole mettere il cappello più in alto: i decretoni miliardari... per venderci cartolarizzati a prezzi di fallimento?
Invece, quando i voli a medio raggio saranno finalmente scoraggiati, insieme con il traffico su gomma a lungo percorso, tutti saranno capaci di riconoscere come saggia la non-violenza di un treno veloce verso la natura, o come dissennato il suo contrario.

Il Corridoio5 ferroviario può chiedere ai frettolosi di rilassarsi davanti alle Alpi come è sano fare. Tutto qui, mezz'ora di rispetto. Gli ingegneri troveranno soluzioni per ulteriormente migliorare la linea che esiste, nel sostanziale rispetto della Terra (il rispetto diventi un criterio-base per l'ingegneria del XXI, che ormai conosce i misfatti commessi con il via libera delle valutazioni d'impatto ambientale). 
Milioni di persone avrebbero ragione di opporsi al progetto tav in nome del diritto democratico di intervenire nel disegno degli scenari, del modello di sviluppo. A viso aperto, senza ombra di violenza, in franco dialogo con i giornalisti, ma anche con civica determinazione e capacità di disobbedienza civile.
Spero che, fra un anno o due, la maggioranza della popolazione possa ringraziare la Val Susa per avere posto in discussione un modello fallimentare e per avere stimolato la nascita di scenari alternativi. Ciotti, Landini, Mercalli, Revelli stanno indicando passaggi utili, e anche Abbà l'ha fatto. 
Non ci sono gli irriducibili da isolare, ma una cittadinanza da recuperare per tutti.


I nuovi media e la tav, i nuovi media e le grandi opere di dubbia utilità, subito in agenda.

giovedì 17 febbraio 2011

TELEVOTO DI SCAMBIO


La funzione rieducativa del servizio pubblico dedica un possente sforzo alla rieducazione civica.

Alla settimana di Sanremo ovviamente corrisponde un argomento topico: ci si esercita al televoto. Con il televoto la televisione privato-pubblica diventa in pieno un altro Stato. Ascoltate questa bella telefonata (grazie a Il Fatto Quotidiano), ascoltate bene i 10 sec che vanno da 1:02 a 1:12. Ne riparliamo presto.


domenica 13 febbraio 2011

SE NON ORA, QUANDO? Pensieri di un porno-chanchador

Nel duecentesimo della rivoluzione francese, 1989, ho diretto un soft porn a base di ragazze allegre e politica. Dovevo pagare un debito di affitto nella capitale e volevo andarmene. Ero arrivato lì un anno prima dall’America con Saturday pronto e smagliante nel suo bianconero. Con Helen Jardine e Tiziana Ripani avevamo adattato un capolavoro della letteratura muckraker americana (non dirò quale perché il progetto non è mai morto) per farne un film di realtà nella pianura padana. Nel midwest italiano: piccole imprese, medie province, discariche, soldi-sesso-ipocondria. Una storia in soggettiva, raccapricciante e spassosa nella sua normalità, che eravamo sicuri di poter raccontare con la realtà del nostro tempo e di questo Paese, su un magistrale plot americano.  Pensavamo a Ossessione e a Signore e signori, con l’esperienza fresca dell’East Village. L'Italia, per chi non lo ricordasse, era al proto-Mani Pulite e -Lega, giù al Sud Falcone e Borsellino non erano ancora stati neutralizzati.

Dopo tanto scrivere, spedire, incontrare, Leo Pescarolo mi disse: “Papalia, lei è troppo polemico.” Nel frattempo, oltre alla frustrazione, si erano accumulati i debiti. Tiziana e io avevamo un debole per Cicciolina. Fu così che andammo a conoscerla; mostrammo Saturday a Schicchi e dicemmo che con quella tensione fra gli attori - agitata, sopra le righe, comica e vitale - avremmo ben potuto fare la cifra di un film erotico. Così nacque l’accordo per scrivere e girare in tre settimane il filmetto soft Lolita 2000. L’antecedente antropologico delle berlusconettes lo conoscemmo lì, molto superficialmente, ma quanto basta per capirle. Una reciprocità, quella della comprensione, che è però difficile da ottenere. Le fanciulle-immagine incarnano (con uno splendore per presbiti che diminuisce all’approssimarsi) l’utopia della finanza onanista: vivono di soli debiti, non conoscono altra realtà al di fuori del debito; niente è meno erotico di loro.

La mia Lolita, abbandonati prima il figlio di un ministro corrotto (anche lui perseguitato dai giudici), poi un finanziere della perestrojka, per scappare infine di sua scelta con un lavavetri maghrebino, aveva fatto sibilare  al commercialista la fatidica frase: “Papali’, ha' fatto du’ firm in uno: er primo e l’urtimo!”

Ringrazio di cuore la bella ragazza bionda che ieri in un flash-mob a Torino esibiva il cartello: IL SESSO E’ COME IL SOFTWARE, IL MIGLIORE E’ GRATUITO.

giovedì 10 febbraio 2011

Dopo Videocracy


Sul paesaggio audiovisivo italiano non si è visto uno studio politico capace di parlare al largo pubblico (un film documentario sarebbe lo strumento più efficace, specialmente se supportato da approfondimenti ipermediali), per mostrare come il processo di controllo dell’immaginario degli italiani si sia sviluppato nel corso di un ventennio attraverso l’approvazione di un corpus legislativo coerente, la creazione e riformulazione di istituzioni, la messa in opera di piattaforme tecnologiche.

L’interesse di questo studio sarebbe per molti versi simile a quello delle analisi condotte da Naomi Klein sul colpo di stato in Cile e sulla dittatura argentina. Avrebbe rilevanza internazionale, perché nell’approfondire la storia recente di uno dei cinque grandi Paesi dell’Unione Europea coglierebbe dinamiche che trascendono i confini italiani, ma ancora di più perché l'affermazione apparentemente dolce del regime dei media in Italia costituisce il primo esempio a livello mondiale di fascismo postmoderno, frutto di oculato e sistematico utilizzo dell’innovazione tecnologica, della finanza, delle tecniche di persuasione congiunte con lo storytelling.

Il fenomeno italiano è spesso percepito come un percorso autoctono e autarchico, irripetibile altrove perché basato in parte sull’arretratezza e in parte sul caos che da sempre connotano l’Italia nella percezione dei suoi osservatori esteri. Un errore che costò caro a Winston Churchill novant’anni fa quando, all’affermarsi del primo fascismo mondiale, non seppe coglierne immediatamente il potenziale espansivo. Poco dopo, la farsa italiana divenne una tragedia tedesca e mondiale.

Il film “Videocracy” è un eccellente studio socio-psicologico del berlusconismo. Il profilo di tre figure emblematiche, Silvio Berlusconi, Lele Mora e Fabrizio Corona, sulle quali il film è costruito, non permette però di cogliere le grandi linee concrete della costruzione del regime videocratico nella penisola, né la connessione fra le mutazioni culturali-antropologiche (che Pasolini aveva intuito vent’anni prima) e quelle dell’apparato normativo-legislativo degli anni Novanta e Duemila, né le coerenze fra il nuovo corpus giuridico italiano dei media e il fenomeno politico-finanziario mondiale della deregulation. 

Per queste ragioni lo studio condotto da “Videocracy” – benché crudo e tagliente – può essere catalogato come intrattenimento. Al pubblico internazionale ancora manca un contenuto adeguato a cogliere l’universalità dell’esperienza italiana di questo ventennio, utile per elaborare strumenti critici efficaci e costituire un sistema immunitario sufficientemente articolato.

mercoledì 2 febbraio 2011

19 luglio 1992 - Una strage di Stato / ANTEPRIME


Un film di Marco Canestrari e Salvatore Borsellino

Palermo 29 Gennaio 2011 - Presentazione "19 Luglio 1992 - Una strage di Stato". Intervento del Magistrato Antonio Ingroia - Procura della Repubblica di Palermo


Presentazioni a venire (aperte al pubblico, ingresso libero fino a esaurimento posti):


---> sabato 5 febbraio – Torino – diretta su www.ilfattoquotidiano.it
ore 18.00 Aula Magna del Politecnico
Corso Duca degli abruzzi 24
con Peter Gomez, Antonino Di Matteo, Salvatore Borsellino, Marco Travaglio e Giancarlo Caselli
modera Carmen Duca


---> venerdì 11 febbraio – Roma
ore 20.30 Aula Magna della Facoltà di Economia de “La Sapienza”
via del Castro Laurenziano 9
con Marco Lillo, Gioacchino Genchi, Claudio Gioè, Luca Tescaroli e Salvatore Borsellino
modera Federica Fabbretti


Dall’8 febbraio in edicola con Il Fatto Quotidiano e su www.ilfattoquotidiano.it


Non ho ancora visto il film, andrò alla proiezione di sabato 5 febbraio al Politecnico di Torino. Lo segnalo perché è una produzione indipendente che si occupa di mafie e potere per contrastarne le connivenze.
Il sito dell'Associazione Le Agende Rosse pubblica una scheda sul film, a cura di Martina Di Gianfelice. Su quel sito troverete una frase di Paolo Borsellino, "Palermo non mi piaceva, per questo ho imparato ad amarla. Perché il vero amore consiste nell'amare ciò che non ci piace per poterlo cambiare" che leggo come una motivazione forte per interessarsi a un servizio pubblico tv fortemente condizionato da posizioni dominanti. Un ventennio di shock mediatico, inflitto a quella che era la settima economia mondiale, ha contribuito a produrre un'Italia non troppo dissimile dalla Palermo degli anni '90. 
cp

sabato 29 gennaio 2011

Un soggetto del 2009: documentario sui documentari(sti) italiani

Progetto in sospeso da un anno e mezzo. Ricevette a suo tempo intenti co-produttivi da Francia e Regno Unito. 
Impossibile realizzarlo senza un soldo raccolto in Italia.
La condizione del documentario nel servizio pubblico tv italiano è rimasta invariata. Alla RAI dicono che la gente non vuole i documentari perché detesta la Settimana Incom di 50 anni fa. Ma a quale pubblico fingono di pensare?
Lo shock audiovisivo imposto agli Italiani dura, e si aggrava, da vent'anni. Nessun dubbio che il soggetto sia ancora attuale; lo è sempre di più.


MESSA IN ABISSO
doc sul doc in Italia

pre-progetto di Claudio Papalia e Tiziana Ripani,
da sviluppare con altri Autori
per la realizzazione di un film di 52 minuti

© Fert Rights 2009-2011

SINOSSI


Il sistema audiovisivo italiano è sovente oggetto di reportage nelle televisioni di tutto il mondo. Temi preferiti: le posizioni dominanti, gli intrecci politico-editoriali, le grandi querelle mediatiche, i retroscena piccanti. Queste le “vette” della tv italiana nella percezione internazionale. Il nostro metadocumentario non indaga le cime ma gli abissi, un po’ come un’inchiesta sull’India organizzata a partire dagli Intoccabili, da parte di Intoccabili.

Nella televisione italiana, la casta sfavorita è quella del documentario; non è vietato parlarne, ma è di buon gusto astenersi. Esattamente il contrario di quanto faremo, portando il documentario italiano al largo pubblico internazionale con un film di inchiesta il cui interesse spazia fra estetico e politico, fra cittadinanza e libertà d’impresa.

Una rapida panoramica d’insieme sul paesaggio audiovisivo italiano, con sorvolo della programmazione di prime time nelle reti generaliste, introduce le testimonianze che via via compongono il quadro di un genere, di un mercato, di una professione, capaci di illustrare al pubblico europeo un aspetto poco conosciuto ma proprio per questo interessante, rivelatore della grande posta in gioco connessa al sistema audiovisivo in Italia.



TRATTAMENTO


1. PERCEZIONE

Rapida panoramica d’insieme sul paesaggio audiovisivo italiano con sorvolo della programmazione di prime time nelle reti generaliste. Gli spezzoni sono commentati sommariamente da alcune voci maschili e femminili. I documentaristi.

Chi realizza documentari in Italia? Chi li vede? Che documentari sono?

Documentari poetici, descrittivi, di osservazione, partecipativi, riflessivi, rappresentativi…

Documentari di ricostruzione, contemporanea o storica, documentazione di eventi, documentari d’inchiesta, intervista e testimonianza, di archivio, film-saggio e fattuali sperimentali…

Documentari didattici, informativi, giornalistici, di creazione, di montaggio…

Quasi tutte categorie obsolete, speci in estinzione, o mutanti, nell’avanguardistico, ballardiano, post-sovietico e neofeudale Bel Paese della tivù.

Nella televisione italiana i generi di documentario sono due: “programmi contenitore” e “documentari puri”. Ai primi, che frantumano l’unità artistica di documentari preesistenti e ne utilizzano spezzoni come cortigiani intorno ad un conduttore-re, sono dedicate circa 1.200 ore di trasmissione del servizio pubblico generalista; ai documentari in senso stretto, quelli puri ove l’unità creativa è integra, le ore si aggirano sul centinaio, tutte collocate nelle pieghe più nascoste del palinsesto.

Uno sguardo alla Francia, giusto per cogliere un dato elementare di raffronto: oltre 4.500 ore, di cui oltre 300 in prime time; non a caso la sua industria audiovisiva è la più sviluppata in Europa. Uno sguardo alla gestione dei diritti, in acquisto, in vendita, in uso equo. Uno sguardo al documentario satirico, il mockumentary (documenteur); uno al documentario contraffatto, l’infotainment.

Perché il documentario fa male agli Italiani? Cos’è davvero il documentario?


2. AZIONE

I documentaristi si presentano, sono produttori, registi, autori. Narrano i loro casi, accennano ai loro progetti, chiamano in causa le loro controparti.

Le interviste e i confronti si organizzano in modo da poter seguire nella coralità il viaggio di un eroe giunto in questi anni alla ‘prova suprema’: il rischio concreto dell’annientamento.

Sguardi e pensieri; ma anche imprese che pagano tasse e salari, di fronte – o meglio – sotto un sistema televisivo nello stesso tempo illegale e popolare. Imprese che, private del mercato nazionale, nonostante lo handicap competitivo, sono capaci di rapportarsi con le grandi tv estere.

Accuse, difese.


3. AFFEZIONE

Sequenze di documentari e primi piani di documentaristi. Primi piani di dirigenti e politici. Primi piani di spettatrici e spettatori.

Come sono narrate la Storia, la Scienza, la Società, la Natura, la Cultura. Da chi? Come potrebbero esserlo? E per chi?

Per Jean Louis Comolli “il documentario è quel cinema che si confronta frontalmente con le realtà che sono le nostre, private e pubbliche, prendendosi il rischio di un impegno nel mondo.” Il documentarista non ha l’obbligo della neutralità o dell’imparzialità, ma quello dell’onestà intellettuale. Nell’assemblare finzioni di realtà opera un procedimento nel quale la componente etica sovrasta l’emozionalità e la sensazione, stimola il ragionamento. Per Thierry Garrel “il documentario non è una macchina per vedere, è una macchina per pensare”.

Nelle sue linee guida, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni indica il documentario come uno dei fattori che qualificano l’offerta del servizio pubblico. Resterà lettera morta? O morirà prima la tv generalista, soppiantata dai nuovi media?